Se già da molti anni a questa parte, l'astensionismo elettorale è andato crescendo, nelle ultime elezioni politiche e regionali siciliane (25 settembre 2022) tale fenomeno ha registrato percentuali ancora più alte e preoccupanti. Ma ciò che desta un certo stupore è che le statistiche ci consegnano il maggior numero di astenuti tra i cattolici. In particolare, tra i cattolici praticanti l'astensionismo registra il 39,6%, e tra i non praticanti il 33,4%: in altri termini, il mondo cattolico, complessivamente preso, arriva al 73% di astensione. Invece, il totale delle altre religioni, nel loro insieme, tocca il 38,2% di astensione, mentre gli atei sono a quota 35,2% (secondo i dati IXE'). Vogliamo soffermarci sull'alta percentuale di cattolici, i quali hanno disertato le urne, tra l'altro, non tenendo nemmeno conto dei pressanti e ripetuti appelli della CEI (come d'altronde, è accaduto per tanti altri appelli dei vescovi su altre questioni importanti, caduti nel vuoto!). Da notare anche, ad esempio, che nella nostra Diocesi di Catania (caso unico, forse, in tutta l'Italia), un gruppo di fedeli laici, coordinati dall'Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, smentendo le voci ricorrenti, in questa campagna elettorale, di cattolici “afoni” e assenti, ha pubblicato un documento Non possiamo tacere, dimostrando, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, il dovere morale di partecipare al voto, offrendo un quadro articolato dei gravi problemi della nostra Regione, con l'impegno di una vigilanza attiva dopo le elezioni. Il documento, presentato nel Salone dei vescovi, il 5 settembre, è stato introdotto dal nostro Arcivescovo Mons. Luigi Renna e illustrato dal Direttore dell'Ufficio PSL, dal Dr. Claudio Sammartino, dal prof. Rosario Sapienza, essendo moderatore il Dr. Giuseppe Di Fazio. Le persone (circa 350), che hanno gremito la sala, sono state una eloquente dimostrazione dell'attesa di una parola dei cattolici: quella del discernimento, personale e comunitario (che Mons. Renna ha definito la “nostra debole forza”) sulle questioni della partecipazione alla vita democratica del nostro Paese. Bisogna aggiungere che l'iniziativa è stata ripetuta in diverse altre parti del territorio diocesano, suscitando molto interesse e il desiderio di mettersi in gioco, “senza restare alla finestra a guardare”. Comunque, anche l'astensionismo, lo vogliamo leggere come uno dei segni dei tempi, ma non per lamentarci, bensì per cogliere la domanda vera che si nasconde dietro questo rifiuto di andare a votare. Forse c'è una esigenza di formazione al sociale e al politico? Oppure anche il bisogno di riscoprire le motivazioni autentiche per partecipare alla vita della comunità politica? E ancora, la fede ha a che fare con il coinvolgimento nella vita quotidiana della città dell'uomo? Paolo VI affermava che separare la fede dalla Storia è “una grave eresia”.
Ci piace partire da lontano, guardando alla tradizione dei Padri, come ad esempio S. Ambrogio, il quale, declinando sapientemente la tradizione cristiana con quella umanistica romana, con chiaro riferimento al concetto ciceroniano di giustizia, intesa come caritas generis humani, affermava che l’atto di carità (l’elemosina ovvero la beneficenza) rivolto al singolo risolve un problema limitato e, per giunta, in modo episodico; invece, la carità politica, realizzando la giustizia nelle istituzioni socio-politiche, mira, in modo permanente, al bene di tutta la moltitudine di persone, che compongono la comunità. Scriveva Ambrogio: «La natura del vincolo sociale presenta due aspetti, la giustizia e la beneficenza […..]». E precisava: «La giustizia si riferisce alla società e comunità del genere umano». E aggiungeva, per questo motivo: «La giustizia mi sembra più elevata […..]» della semplice “beneficenza”. E concludeva: si può dire che «grande è lo splendore della giustizia», che «sostiene la nostra comunità sociale». E' come dire che senza la giustizia frana il fondamento stesso della società. Si tratta, quindi, di realizzare una carità “pensata in grande”, più completa, perché più larga e onnicomprensiva. Il Compendio della dottrina sociale propone una prassi equilibrata: «è indubbiamente un atto di carità l’opera di misericordia con cui si risponde qui e ora ad un bisogno reale e impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile l’impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria», soprattutto quando si tratta di «un numero sterminato di persone» e perfino di «popoli». In questo contesto si comprende l’affermazione di Paolo VI: «La politica è una maniera esigente- ma non è la sola - di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri». Dagli elementi, sopra illustrati, si può evincere che lasciarsi alle spalle la politica, rinunciando anche ad esercitare il proprio diritto di voto, significa tradire la nostra vocazione umana, ma anche cristiana, rifiutando di attuare una delle più alte forme di carità, appunto “esigente” e “qualificata”. Benedetto XVI sottolinea questa responsabilità del fedele laico: «Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella polis». Per questi motivi, il Compendio della dottrina sociale biasima apertamente «la prassi di limitarsi all’espressione della scelta elettorale, giungendo anche in molti casi ad astenersene». Nessun cittadino può abdicare al suo attivo impegno socio-politico, nè può limitarsi a consegnare ad altri deleghe in bianco: «l’assenteismo, la delega in bianco, il rifugio nel privato, non sono leciti a nessuno» e, anzi, costituiscono “un peccato di omissione”, sottolineano i vescovi italiani. Nella Christifideles laici, Giovanni Paolo II ribadisce che i cristiani: «Non possono [….] abdicare alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune», sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità. E inoltre, sgombrando il campo da ogni equivoco, il Pontefice precisava: «Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione» rivolte agli uomini politici, come pure l’opinione che «la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo né l’assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica”. Nell'attuale fase storica piuttosto complessa, con i tanti nodi da sciogliere (dalla crisi pandemica a quella emergetica e ambientale, alle molteplici forme di povertà, fino alla guerra scatenata in Ucraina), nessuno, e tanto meno i cristiani, possono assumere un atteggiamento rinunciatario e individualistico. Ma occorre che tutta la comunità ecclesiale scopra il valore sociopolitico della carità per incrementare un sano dinamismo tra i cristiani affinchè siano sempre pronti a raccogliere le sfide del nostro tempo e darvi risposte adeguate per il bene tutti.
Don Piero Sapienza
Direttore Ufficio Problemi sociali e lavoro