Passeggiando per via del Monastero, a Paternò, all’inizio del XX secolo, avremmo potuto ammirare il Monastero dei Benedettini mentre proseguendo fino a Piazza Santa Barbara avremmo potuto scorgere la fontana dedicata al Dio Simeto, con coda da sirena, circondato da puttini alati; realizzata dallo scultore Michele Cannavò.
Quindi una piazza diversa da quella che conosciamo oggi, la fontana venne abbattuta per far posto alla realizzazione del Monumento ai Caduti.
Il monumento fu realizzato da Salvatore Juvara e inaugurato il 4 novembre 1931.
Il maestro Cannavò lasciò, alla figlia Francesca, tra i suoi disegni, un suo personale progetto del Monumento ai Caduti che ha come protagonisti, nel complesso scultoreo, un bersagliere che stringe la bandiera italiana, un soldato che stringe un pugnale e la Palma della Vittoria.
Era noto ai tempi, sopratutto, come scultore ritrattista ma la sua fama di uomo d’onore lo precedeva. Nei contratti di lavoro era solito assumersi la responsabilità, qualora la raffigurazione non fosse venuta esatta, di permettere al committente di disdire la commissione.
In riferimento a questa clausola vi è un racconto che sottolinea anche l’ironica intelligenza di questo artista. Si narra che fu commissionato al Maestro il busto di Don Ciccio l’avvocato, questi - sperando di abbassare il prezzo - rinnegò la somiglianza con l’opera ma, inaspettatamente, Cannavò decise di tenersi il busto. L’artista si recò successivamente al Macello “a l’Acqua Grassa” e chiese un paio di corna che mise sul busto dell’avvocato. Chiunque si recasse nello studio dell’artista non rimaneva che estasiato da quell’insolita visione in cui tutti rivedevano il famoso avvocato. Lo scherno fece il giro della città, storia esilarante che arrivò al committente. Don Ciccio rivoleva il busto che alla fine, dopo un rincaro di prezzo, pagò ben 2000 lire (rispetto alle 900 patuite inizialmente). La statua non rimase a Paternò ma si dice che le corna siano ancora in città.
La memoria storica della città ha ricordato Cannavò - e continua farlo - come un grande artista, tanto è vero che dopo più di 40 anni si continuava a leggere di lui sulle pagine de “La Gazzetta dell’Etna”.
Il geniale artista nacque nel 1864 a Paternò, dove vi morirà nel 1941; non conseguì mai una laurea. Iniziò il suo percorso artistico ben presto, il quale verrà contraddistinto dallo stile neoclassico - verista. Le caratteristiche, che non risultano l’insieme di una commistione tra i due movimenti artistici, vanno a individuare, effettivamente, i diversi soggetti scultorei della sua produzione artistica.
In primis bisogna evidenziare, per l’importanza storica e anche sentimentale se si vuole, la realizzazione dell’altarino in onore di S. Barbara in Piazza Indipendenza.
Importante risulta anche la produzione artistica lasciata nel cimitero storico di Paternò. Urge, però, fare una premessa: l’arte funeraria in Italia ha avuto una grande evoluzione che porterà, nell’800, alla costruzione dei cosiddetti cimiteri monumentali di cui la nostra nazione vanta il maggior numero di tutta Europa. L’approccio artistico risulta, però, sottovalutato o comunque sconosciuto alla massa, ritenendo nel pensiero comune “profano” entrare in un cimitero anche solo per ammirare la magnificenza artistica.
Tornando al nostro fine scultore, situi nel luogo sopracitato, vi sono mausolei e busti che riportano la sua firma. Esempi di magistrale bravura sono: la Cappella Correnti - Raciti; il mezzo busto in marmo, nel Mausoleo di Giovanni Fallica, raffigurante un “calamittaru”1; la capella dei Cutore Amico; la Cappella della confraternita di San Giacomo e la statua raffigurante un angelo con la tromba sulla cappella dei Truglio.
Nel 1925 gli fu commissionato l’altare maggiore in marmo nella Chiesa di S. Francesco di Paola; realizzò anche l’altare maggiore gloria d’Angeli situo nella Chiesa di Cristo Re.
Le suo opere scultore non rimasero solamente a Paternò, si possono trovare in alcuni comuni del comprensorio etneo e anche oltre lo Stretto di Messina.
Grande artista ma anche grande uomo, si dice che oltre all’ estro artistico e alla bravura, pari a quella di un’architetto, godesse anche di ottima reputazione nella comunità paternese. Esempio di un certo tipo di “Paternese” che ha reso questa città uno splendore e simbolo di ciò che potrebbe tornare ad essere, anche più splendete di prima.
Se volete leggere “UN FANNULLONE NELLA BOTTEGA DI MICHELE CANNAVO’. Racconto”, tratto dal testo “Umili e Illustri di Barbaro Conti”. Cliccate qui
1 Il termine calamittaru, indica, in questo caso, “uno ragazzo pescivendolo col berretto storto malandrino”